Il fine vita e la necessità di alzare lo sguardo per una comprensione della sofferenza umana
di Emanuele Lorenzetti
Il 25 ottobre 2023 è stato dato il via al secondo anno di attività del Progetto Persona con l’incontro magistrale sul tema del fine vita, dal titolo: “La persona nel suo percorso terminale naturale e assistito”. Un argomento molto dibattuto quello del fine vita sia in sede istituzionale che di opinione pubblica, come ha ricordato Don Andrea nel suo intervento introduttivo in cui ha voluto ripercorrere brevemente le tappe del cammino programmatico del Progetto Persona. La tavola rotonda, moderata da Piero Damosso, giornalista caporedattore del TG1, ha riunito attorno al tavolo quattro personaggi di elevatissimo livello per curriculum e competenza maturata per decenni sul campo giuridico, sanitario e religioso.
Il primo intervenuto è stato Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale. Flick, quale esperto giuridico, ha affrontato il problema del fine vita ripercorrendo i punti salienti della storia giuridica italiana, partendo dal 2010 quando una legge sul dolore, la L. 38/2010, apre sostanzialmente la questione sul fine vita poiché, ha detto il presidente Flick, introduce il concetto per il quale “il dolore è una malattia che va curata”. Questa è per Flick una “traccia fondamentale da cui parte un percorso lungo. La prima tappa è relativa al noto caso Welby che porta alla consapevolezza del diritto di applicare l’art. 32 della Costituzione nella parte in cui consente alla persona di rifiutare un trattamento medico. Il secondo passo avviene con la legge 219/2017 che consente ad un paziente la libertà di esprimere un proprio consenso per l’utilizzo delle cure palliative con la fissazione di quattro paletti legislativi. Rimarcando un concetto fondamentale per il quale la distinzione è tra non impedire l’arrivo della morte, evitando comunque la sofferenza al paziente, o invece accelerare l’arrivo della morte con la somministrazione di un farmaco. In sostanza, afferma Flick non senza alcune perplessità in merito al ruolo della Consulta e al suo rapporto con il Parlamento, l’orientamento costituzionale è che esiste un diritto a morire ma non c’è un diritto a morire assistiti con l’aiuto dello Stato o l’aiuto di un terzo.
Il secondo intervenuto è stato un medico, il dott. Giuseppe Casale, presidente di Antea, il quale è partito da una considerazione sulla rilevanza mondiale della Legge 38/2010 perché riconosce ad ogni cittadino il diritto di ricevere le cure palliative e la terapia del dolore. Il Dottor Casale ha poi analizzato l’origine semantica del termine cure palliative e ne ha spiegato il funzionamento pratico, anche sulla base della propria esperienza in hospice ospedaliero, facendo bene attenzione a marcare il confine con l’altra pratica dell’accanimento terapeutico. Le cure palliative, afferma il dottor Casale utilizzando una definizione dell’organizzazione mondiale della sanità, non hanno il compito né di ritardare la morte né di accelerarla, ma “si cerca di accompagnare la persona a vivere in maniera dignitosa fino all’ultimo momento”. Il dott. Casale ha poi ribadito l’importanza dell’ascolto da parte del medico verso la persona-paziente e la sua famiglia che affrontano una sofferenza non solamente fisica ma anche spirituale.
Il terzo intervenuto è stato un altro medico in corsia, il prof. Mario Sabatelli che è responsabile del reparto NEMO del Gemelli di Roma. Il file rouge del suo intervento, “un credente che lavora in un’università Cattolica” come si è definito lui stesso, si potrebbe rintracciare nell’interrogativo posto sull’esistenza della sofferenza umana. Ha espresso le sue convinzioni sulle incertezze e difficoltà riguardo al tema fine vita e uno sguardo che egli considera “vuoto” più in generale sull’uomo malato. La prima cosa, afferma Sabatelli, è che “sembra che la medicina trovi il suo senso solo nel successo terapeutico”, mettendo ai margini la medicina del “prendersi cura” perché è considerato un po’ meno medicina dell’altra. Questo è il problema per cui la medicina palliativa è considerata un po’ meno medicina. Quindi, il prof. Sabatelli ha proseguito sul problema della medicina di oggi che riguarda sostanzialmente il tema di un “efficientismo aziendale” che indirizza l’attività ospedaliera verso alcuni settori ritenuti più remunerativi. Una “medicina fatta di numeri” dunque che si trova a suo agio solo con l’organismo malato. Ma cosa succede quando il medico alza lo sguardo e incontra l’esistenza delle persone? È la domanda chiave che ha proposto il prof. Sabatelli durante il suo intervento. Il problema fondamentale è l’incontro dell’esistenza della persona, perché solo a quel punto posso umanizzare la medicina. Conclude sulla domanda iniziale del perché esiste così tanta sofferenza e la risposta fornita dal prof. Sabatelli è il gesto di San Francesco che abbraccia il lebbroso: l’unica chiave per capire la sofferenza umana e conciliarla con la gioia.
Il quarto ed ultimo intervenuto è il frate prof. Maurizio Faggioni, il quale ha voluto riportare il pensiero sul valore della vita e parlare del tema della “pianificazione delle cure”. Successivamente ha ragionato sui termini di sacralità della vita e di libertà con l’intento di definire qual è il ruolo della bioetica, concludendo con l’auspicio che da questi momenti “non dovrebbero uscire vincitore o vinti, ma pensieri, riflessioni” per raggiungere una “vita veramente umana” e che non esistono vite con meno valore.
Di seguito la conclusione di don Andrea
“Vorrei ringraziare per questa serata altissima: abbiamo passato un po’ tutti gli stadi intellettuali, speculativi e anche di commozione. Secondo me perché. questa famosa Persona, che vogliamo mettere al centro, l’abbiamo questa sera effettivamente messa al centro. Ognuno di noi è come se l’avesse toccata la persona fragile, in difficoltà, noi domani, noi oggi, un nostro caro, una persona che abbiamo amato, allora abbiamo colto il punto del Progetto Persona: se è rimettere la persona al centro, questa sera i ragazzi e non solo hanno avuto la possibilità di pensare alla persona. Rimetterla al centro vuol dire ridarle la dignità, riconsiderarla nella sua dignità più alta. Si è parlato di valori altissimi, di solidarietà e libertà, mi permetto di dire che la libertà ha un referente che è la verità. Questo Progetto Persona non ha l’ambizione di portare verità precostituite o verità etero-dotte, i ragazzi sono liberi di pensare o tornare a pensare su temi importantissimi come quello di stasera, e la verità di rivela da sé. Non vi diamo quindi niente di precostituito, continuiamo a pensare e a permettere che la verità si riveli dentro di voi e che possa vincere nella libertà di ognuno. Questo è il Progetto Persona tra Vangelo e Costituzione: tutto il portato cristiano, tutto il nostro sistema paese, Grazie per questa splendida serata e grazie ai relatori.”
Il video, l’articolo di Roma Sette e alcune foto:
Progetto Persona Articolo Roma Sette- Fine Vita