Una traslitterazione del Vangelo. Così don Andrea, parroco di San Pio X, ha definito il libro “Govindo. Il dono di Madre Teresa” – scritto dalla giornalista Marina Ricci e pubblicato nel 2016 dalle Edizioni San Paolo – al centro dell’incontro di mercoledì 11 dicembre presso l’Auditorium “Angelo Brizi”.
Una storia che in questo periodo di Avvento ci parla con particolare forza dei progetti inaspettati di Dio per noi.
Nel novembre 1996 Marina Ricci, all’epoca vaticanista del Tg5, viene mandata a Calcutta dal suo direttore Enrico Mentana (autore della prefazione del libro) perché Madre Teresa sembrava ormai prossima alla morte (migliorerà momentaneamente per poi morire l’anno successivo). Calcutta aveva allora sette milioni di abitanti, tre vivevano per strada in uno stato di grande miseria e degrado. Una città dall’aria irrespirabile, una “gigantesca latrina umana”. La giornalista visita le realtà in cui le suore aiutano i bambini in difficoltà. Le porte le apre Sister Frederick, convinta che “da quell’incontro nascerà qualcosa di buono”.
Nell’orfanotrofio di Shishu Bhavan Marina incontra Govindo, un bambino gravemente malato. “Era steso sulla schiena e guardandomi cercava di sollevare la testa senza riuscirci. Sembrava volesse venire da me o chiedermi di chinarmi su di lui e di prenderlo in braccio. Anch’io ero paralizzata, non riuscivo a rispondere all’invito di quel corpicino crocifisso, che nel primo impatto visivo mi impauriva e provocava in me un senso di ripugnanza”. In quel luogo centinaia di altri bambini. E la sera, scossa da quanto avevo visto, propone telefonicamente al marito Tommaso, anch’egli giornalista, di adottarne uno. La coppia ha già quattro figli. Ma Tommaso la incoraggia.
Il giorno dopo Marina si presenta dalla suora responsabile delle adozioni. Che le dice: “Non abbiamo bisogno. Abbiamo un lungo elenco di genitori disponibili, il problema semmai è la burocrazia”. “Benissimo, se non avete bisogno, meglio così. Io ho già quattro figli…”. “Allora il Signore le chiede qualcosa di più. Prenda uno di quelli che nessuno vuole. Prenda un bambino handicappato”. Marina balbetta: “Un bimbo handicappato ha bisogno di una madre che stia a casa, io lavoro, non lo dico per me, lo farei anche, l’avevo pure visto un bambino…”. “Quale? “Me lo faccia vedere”. Tempo dieci secondi e Marina ha in braccio “quel piccolo dal corpicino legnoso che non avevo avuto il coraggio di abbracciare appena entrata a Shishu Bhava”. Racconta la giornalista: “Dio mi ha teso uno dei peggiori agguati: si è rifatto presente in una vita ormai segnata dalle abitudini attraverso il volto di un esserino tutto pelle e ossa, che chiedeva solo amore. Cristo non poteva che avere il volto di Govindo. Se Dio chiede qualcosa deve anche dare la forza per farla, mi ripeteva sister Frederick”.
In Italia le obiezioni dei medici che consultando la cartella clinica di Govindo parlavano di paralisi cerebrale spastica e microcefalia. Inizia un percorso che cambierà la vita di una famiglia. Govindo soffre di una malattia degenerativa; non cammina e non cresce. Il ricovero al Bambin Gesù, l’alimentazione con un sondino naso-gastrico. I guai fisici di Govindo erano provocati dalla malattia ma anche dall’abbandono. Bisognava accarezzarlo molto, abbracciarlo. “ I miei figli, che insieme ai loro amici se lo passavano in braccio, lo imboccavano, lo cambiavano, sono stati la terapia migliore”.
Circondato da questo amore, Govindo riempie di gioia la famiglia fino al 5 novembre 2010 quando, a 18 anni appena compiuti, si spegne. Un senso di vuoto che annichilisce. Lo descrive alla fine dei funerali Tommaso Ricci. Nella chiesa stracolma di amici, colleghi, parenti e rivolto ai tantissimi che da Buenos Aires a Gerusalemme, da Calcutta a Milano pregavano per suo figlio, parla di Govindo come “lanterna viva” che aveva tenuto insieme la sua famiglia. “Ti chiedo di aiutarci a trasformare questo vuoto in una nuova forma di quel bene che tanto ci hai regalato”.
Nei giorni successivi Marina dice a sua figlia Angela: “Ora abbiamo un sacco di tempo”. La figlia la guardò negli occhi: “Sì, mamma. Ma per fare cosa?”.
Il libro, ci ha detto Marina Ricci concludendo l’incontro in Auditorium, “non è più solo la storia di un’adozione, ma di come Gesù Cristo ha incontrato la mia vita”.
Una storia di accoglienza vera. Sottolinea don Andrea: “Calcutta chiama Nazareth in questo tempo d’Avvento in cui siamo chiamati a fare entrare Dio nella nostra vita”.
Di seguito il video e alcune foto: