BUONA PASQUA A TUTTI CARISSIMI AMICI!

INCONTRO SU ALDO MORO
Lunedì 9 aprile alle ore 19.30 Marco Damilano
, direttore dell’Espresso, verrà qui da noi a parlarci del 40° del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro. Marco è un caro amico della parrocchia e di don Paolo. In preparazione a quell’incontro ci saranno due scritti. Il primo è di Giampiero Guadagni, molto bene conosciuto in comunità ed è pubblicato sul retro di questo notiziario. Appuntate sulla vostra agenda l’incontro!

ALTRI EVENTI DELLA SETTIMANA

  • È l’ottava di Pasqua e, come l’ottava di Natale, ogni giorno si celebra una liturgia come se fosse Pasqua, anche nelle Messe feriali, che saranno tutte in cripta.
  • Mercoledì 4 alle 20.30 incontro di don Paolo con i volontari di Doniamoci il tempo.
  • Sabato 7 aprile don Paolo (se si raggiungerà una quota di partecipanti congrua) accompagnerà il gruppo degli adulti genitori ad un ritiro presso la casa dei Rogazionisti di Morlupo

Domenica 8 aprile, II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia:
L1: Atti 4,32-35 | Salmo 117 | L2: 1 Giovanni 5,1-6 | Vangelo: Giovanni 20,19-31



Quaranta anni fa la domenica di Pasqua cadeva il 26 marzo. Da 10 giorni l’Italia era entrata nel cupo silenzio di un Sabato Santo dalla indefinibile durata. Il Venerdì era arrivato a tradimento di giovedì, il 16 marzo in Via Fani, con un’azione di guerra che lasciò sull’asfalto i corpi di cinque uomini della scorta di Aldo Moro. La Domenica di Resurrezione in quel 1978 non era solo la certezza liturgica del calendario, ma l’angosciante incognita politica legata alla situazione più drammatica del dopoguerra: la sorte del Presidente della Democrazia Cristiana e insieme della democrazia italiana, entrambi ostaggio delle Brigate Rosse. La cruna dell’ago attraverso la quale nessuno alla fine riuscì a passare.
E così il Venerdì Santo ritornò a tradimento di martedì, il 9 maggio in Via Caetani, con il corpo di Moro deposto nella tomba di una Renault 4 rossa. E con il tormento umano e spirituale di un amico che fino all’ultimo non si era arreso: mons. Giovanni Battista Montini, assistente della Fuci – la Federazione degli universitari cattolici – ai tempi in cui Moro ne era Presidente, Papa Paolo VI da 15 anni e ancora solo per tre soffertissimi mesi.
Quei 55 giorni hanno segnato la storia del nostro Paese, ne sono stati anzi lo spartiacque. Una rincorsa di edizioni straordinarie di giornali e telegiornali che toglieva il fiato: le foto del prigioniero e le sue lettere accorate e i controlli a tappeto delle forze dell’ordine e le segnalazioni e i depistaggi e i ricatti dei terroristi e i loro documenti feroci e tortuosi e il partito della fermezza e il partito della trattativa. Tutto senza punteggiatura, tutto senza grammatica politica e umana.
Tutto accompagnato dai misteri di una verità rielaborata anni dopo, quella di comodo, la grande pietra fatta rotolare all’entrata del sepolcro di questa storia, che il testardo impegno di molti sta per fortuna cominciando a rimuovere e riscrivere sulla base dei fatti. Un impegno essenziale anche per il nostro futuro.
Chi c’era ricorda bene quei giorni di 40 anni fa.
I più giovani ne hanno forse intuito l’importanza dal risalto che in questi giorni anche i social hanno dato allo sfregio della nuova e finalmente degna lapide commemorativa in Via Fani. E certamente hanno avuto occasione di imbattersi nelle diverse rievocazioni televisive di quel periodo, anche in quelle degli stessi terroristi protagonisti dei fatti: spesso giustificazioniste o orgogliose o nostalgiche o tutto questo assieme; a volte persino offensive della memoria delle vittime e del costante lutto dei parenti. Per chi non ha vissuto quel periodo, per chi ne sa poco, per chi non è messo in condizione di valutare fatti, misfatti, antefatti e postfatti, il rischio concreto è che alla fine oggi arrivi il messaggio devastante che di fronte alle ingiustizie sociali una reazione politica valga una con la pistola; la parola del carnefice quella della vittima. E che questa confusione generi nuova violenza e nuova eversione. Quarant’anni fa, va sottolineato e ricordato con forza, quel messaggio non arrivò: il delirio delle Br trovò il fermo e aperto rifiuto delle “classi sociali” a cui si rivolgeva; ebbe solo l’ambigua sponda di certi “intellettuali”, quelli del “né con lo Stato né con le Br”.
Ma c’è anche un altro elemento che va messo in chiara luce. Lo fa emergere (e ce ne parlerà di persona la sera del 9 aprile intervenendo a San Pio X, da sempre sua parrocchia) Marco Damilano, direttore del settimanale Espresso, nel suo ultimo appassionato libro “Un atomo di verità”: Aldo Moro non è solo “il caso Moro”, non è una storia che si esaurisce nei 55 giorni che vanno dal rapimento all’assassinio. Moro è anche e soprattutto una figura di politico e di professore universitario, cristianamente ispirata, che ha provato con scelte difficili e controverse a rendere più robusta la democrazia in Italia negli anni della Guerra Fredda, lasciando una traccia profonda nel Paese, con una prospettiva e un’analisi sorprendentemente attuali. D’accordo o no con quella visione e con la conseguente strategia, vale davvero anche oggi approfondire il pensiero politico di Moro.

Giampiero Guadagni


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